GESU’ INCONTRA … LA PECCATRICE PENTITA (Gv 8,1-11)

a cura di Carmine

INTRODUZIONE
Possiamo considerare questo un brano adatto al “tempo ordinario” dell’anno liturgico, in quanto si parla di “peccato” e di “perdono”, caratteristiche tipiche della nostra quotidianità: sia che commettiamo torti, sia che ci troviamo a perdonare, nel periodo di “ferialità” possiamo confrontarci con queste realtà.

Versetti 1-2
I primi due versetti si prestano a considerazioni marginali, ma danno informazioni sul comportamento di Gesù, quando - da ebreo praticante - si reca a Gerusalemme. Abita a Betania; all’alba, va a pregare, si reca al Tempio, dove insegna; a sera, torna a Betania, attraversando il Monte degli Ulivi.
Queste indicazioni sono insolite nel Vangelo di Giovanni (sembrano più consone ai racconti evangelici di Luca). Questa “anomalia” ci deve far riflettere sul fatto che il Vangelo non è il romanzo della vita di Gesù, ma è un’esperienza di fede, vissuta dai primi discepoli, raccontata alle prime comunità cristiane, messa per iscritto per tramandarne il messaggio. La commistione di stili letterari deriva da questo processo.

Versetto 3
La donna non viene identificata, anche se comunemente viene ritenuta Maria Maddalena.
In realtà, quando nel Vangelo si usa il termine “donna”, ci si riferisce all’Umanità (questo è tipico dello stile giovanneo).
Quella descritta nel brano è una situazione che non ha simili in altri racconti biblici. Si può accostare all’episodio di Susanna (nel libro di Daniele). Ma in quel caso la protagonista è ingiustamente accusata, per dare il messaggio che Dio salva gli innocenti. Questo è tipico dell’Antico Testamento.
Ora siamo nel Nuovo Testamento: Dio salva i colpevoli, cioè noi. Disfa il buonismo e la convinzione della necessità di giudicare gli altri.
Gli Scribi e i Farisei sono gli esperti della Legge è hanno già condannato la donna, ma la usano come un pretesto e la pongono in mezzo solo per far sbagliare Gesù. A loro non importa della donna, la Legge mosaica per loro è chiara: deve morire. Ma mettono alla prova Gesù: se avesse detto che doveva essere perdonata sarebbe andato contro la Legge; se l’avesse condannata sarebbe andato contro i suoi insegnamenti, contraddicendo la dottrina che andava divulgando nel popolo. Qualsiasi risposta avesse dato avrebbe sbagliato.

Versetti 4-5
La domanda “Tu che ne dici?” è un tranello (simile a quello posto con la richiesta di parere sul pagare le tasse, a cui Gesù risponde: “Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”).
Lo chiamano “maestro” (termine tipico dei Vangeli sinottici), dimostrando che lo considerano una persona autorevole: un rabbino affermato nell’ebraismo.
La loro intenzione è quella di metterlo in difficoltà, non è quella di scoprire qual è la volontà di Dio.
Spesso anche noi poniamo a noi stessi, agli altri, a Dio stesso delle questioni senza via d’uscita: le nostre intenzioni sono sbagliate.

Versetto 6
L’evangelista vuole aiutare il lettore, proponendo un’osservazione che vale anche nei nostri riguardi quando poniamo al Signore questioni senza sbocco (ad esempio: se Dio esistesse, non potrebbe permettere questo …)
Gesù non abbocca, non vuole esprimere il suo giudizio, prende tempo e scrive per terra. Tanti hanno ipotizzato cosa scrivesse Gesù, ma non possiamo saperlo, né è giusto stare a fantasticare su qualcosa che nel Vangelo non è detto. Dal brano possiamo solo capire che Gesù prende tempo, vuole lasciare spazio alla riflessione, mostra indifferenza e indignazione.
Una riflessione interessante, in merito, può partire dal fatto che la Legge Mosaica è scritta su tavole di pietra, è esterna all’uomo, ma Gesù viene a perfezionarla. Sul lastricato di pietra del Tempio Gesù sta scrivendo la “nuova legge”, la legge dell’amore, indicata dal “dito di Dio”: è l’Amore che sta scrivendo la Legge del Perdono!

Versetto 7
I farisei insistono, non capiscono quel silenzio, non capiscono che stanno sbagliando.
La risposta è inattesa, ma degna del Figlio di Dio per saggezza, semplicità, profondità, non cade nel tranello, disarma i suoi nemici: qual è l’uomo senza colpa?
Farisei e Scribi sono spesso presentati nei Vangeli come personaggi negativi, ma dobbiamo ricordare che erano delle “brave persone”, osservanti della Legge di Dio, che hanno ben presenti i loro peccati e capiscono l’obiezione di Gesù. Da questo possiamo desumere questa riflessione: se la condizione dell’uomo è quella di essere peccatore, come può giudicare gli altri?
L’espressione “scagli per primo la pietra” fa riferimento alla regola del Deuteronomio, secondo la quale i testimoni oculari di un reato dovevano dare il via all’esecuzione della pena. Gesù perfeziona l’antica Legge e dice non “chi ha visto …”, ma “chi è senza peccato …”

Versetto 8
Dopo, Gesù non guarda più gli accusatori, sa che adesso hanno capito il valore del suo silenzio: è lo spazio per guardar dentro noi stessi. Li distoglie dalle loro cattive intenzioni e rimette al centro la donna.
Quando il Signore ci manda messaggi, ci chiede di riflettere sulle cose. E’ lui la Luce e se ci lasciamo illuminare trasforma la nostra vita.

Versetto 9
Dobbiamo riconoscere che i farisei sinceramente riconoscono di essere peccatori, sono intellettualmente onesti e – potremmo dire – fanno un corretto esame di coscienza: noi spesso no!
I primi a riconoscersi peccatori sono i più anziani, o perché più saggi o perché più carichi di peccati.
Sulla scena solo adesso ritorna la donna che, all’inizio, era stata posta in mezzo.
Possiamo vedere questa come una scena escatologica: alla fine della vita, la nostra umanità sarà al centro dell’attenzione di Dio e lì sarà Gesù, Buon Pastore.

Versetto 10
Gesù quando insegna resta seduto, adesso “si alza”. E, in questo caso, il verbo “alzarsi” è uguale a quello della Resurrezione. Adesso Gesù non insegna più, ma è il Cristo morto e risorto, agisce per la donna, le rivolge una domanda che sembra inutile: “nessuno ti ha condannata?”.
Il messaggio che ci viene rivolto dal brano è: dalla presa di coscienza dei nostri peccati siamo chiamati a rinunciare a condannare.
Quando siamo “bravi” ci limitiamo a condannare con i pensieri; altrimenti, se non freniamo la lingua, esercitiamo il diffusissimo sport del “parlar male”.
Ci sostituiamo a Dio che perdona: noi no!
Commettiamo il gravissimo peccato di metterci al di sopra di Dio.
Invece, dobbiamo avere i sentimenti di Cristo.
Davanti ad un torto, il nostro compito non è quello di far finta di niente, ma dobbiamo rilevare che quella cosa è sbagliata. Questo non è giudicare.
Ciò che è sbagliato è condannare la persona che sbaglia. Non si deve condannare, ma il male resta male.
Spesso siamo rigorosi con gli altri e buonisti con noi stessi. Gesù non è buonista, ma non è venuto per condannare, Lui che avrebbe potuto scagliare per primo la pietra.
Dio potrebbe condannare, ma ama! Desidera la conversione del peccatore, affinché sia felice.

Versetto 11
Gesù rivolto alla donna (all’Umanità) le dice che ha sbagliato, ma viene perdonata e, dal gustare questo perdono, scaturisce una più decisa capacità di amare.
Gesù divide il peccato (che va condannato) dal peccatore (che Dio salva e ama).
Perdonare non è far finta di niente, perchè tutto deve passare dalla Giustizia. Nella fatica di perdonare c’è tutto il nostro cammino d’amore. L’unico spazio possibile è separare il male dalla persona: tu sei una persona da amare, quello che hai fatto è il male.
Gesù dichiara che il male esiste, ma lo separa dall’uomo. Il male condiziona comunque il nostro rapporto con gli altri, anche con Dio.
Il Perdono è la miglior forma di amore, perché è veramente amore gratuito: non merito di essere perdonato, ma lo sono ugualmente!
Da qui parte un percorso virtuoso: chi riceve questa forma di amore, farà altrettanto e … così via! Il giudizio, invece, recide questa catena d’amore che porta a Dio. Se, invece, si diffonde il perdono, questo rende presente la “Civiltà dell’amore”, il vero Cristianesimo: oggi, più che mai, ne abbiamo proprio bisogno!