Giovedì Santo: La lampada del Tabernacolo
C'è
una luce piccola, ma sempre accesa che in ogni chiesa indica la presenza viva
di Cristo, mormora il canto dell’amore che arde verso il Salvatore: il pane
vivo! Nel Tempio di Gerusalemme presso l'Arca che conteneva le tavole della
Legge ardeva la menorah, il candelabro a sette braccia, simbolica espressione
di luce spirituale. Oggi in ciascuna delle nostre chiese è presente una lampada,
simbolo della presenza di Cristo, il Figlio di Dio portatore di amore, capace
di suscitare nei nostri cuori la carità. La lampada del tabernacolo arde di
fronte a colui che non dovremmo mai lasciare, simboleggia anche l’esortazione
evangelica “Pregate senza mai smettere”, essa veglia e ci esorta alla vigilanza
dei cuori. Questa lampada è un fuoco che ci permette di continuare il nostro
dialogo con Dio, un fuoco che non si deve mai spegnere. “La chiesa in cui
brilla lo spirito di Cristo è come una lampada illuminata” (Paolo VI). Da
qualche mese il tabernacolo della nostra chiesa è adorno di una nuova lampada,
frutto della volontà di don Gian Mario e della accurata opera del nostro Claudio
Marini. Arde sospesa in alto, non tocca il suolo: ci invita a staccare la
nostra mente dalle piccolezze quotidiane, a sollevare il nostro sguardo, a
leggere nel nostro cuore. Non è appariscente (forse a molti è sfuggita questa
"novità"), ma può essere uno stimolo in più ad entrare in chiesa, chiudere
fuori il frastuono della strada e fermarsi in adorazione dell'immenso dono
che Dio ha offerto all'umanità. Nel Giovedì Santo abbiamo ringraziato il Signore
del dono dell'Eucaristia, del suo fermarsi fra noi in maniera così concreta
da farsi cibo della nostra esistenza. Il mistero di quel Pane di Vita non
può essere soltanto rinchiuso in una pratica domenicale, esige il nostro perdersi
in Lui, diventa Voce che vuol parlarci, costruendo un rapporto che parte dal
silenzio. Non è facile fare silenzio veramente! Anche quando le labbra sono
chiuse... Dentro di noi mille voci, mille pensieri si inseguono, ci confondono.
Ma quando riusciamo a vivere intensamente quello stare al cospetto di Gesù
pane vivo, possiamo concentrarci sul silenzio, ascoltare il nostro respiro,
sentire il battito del cuore, svuotarci di giudizi e preconcetti. In quel
momento, possiamo sentire una Voce che accarezza e conforta, che spiega, chiarisce...
illumina! E allora lo sguardo dell'anima va verso quella piccola fiammella
tremolante, che sparisce tra le luminarie del mondo, ma che è sempre lì, punto
fermo, tenue faro sempre acceso per i naviganti smarriti. Ecco, anche in un
edificio-chiesa come il nostro, povero di elementi artistici, paragonato da
alcuni ad un calzificio o ad un hangar, una piccola lampada può risvegliare
il gusto di accostarsi al Divino Sacramento per segnare un momento fondante
della propria vita: farlo costa poco, ma può cambiare tante prospettive.
Venerdì Santo: Il Crocifisso secondo i Giudici
Proprio
all'inizio della quaresima 2011 sono state emesse due decisioni da parte di
importanti organi giudiziari che riguardano la presenza del crocifisso nei
luoghi pubblici. Il 16 marzo la Corte di Cassazione ha stabilito che è legittima
l'esposizione del crocifisso nelle aule di tribunale (prevista da alcune norme),
mentre non esistono disposizioni legislative che consentano l’esposizione
di simboli religiosi diversi dal crocifisso nei luoghi pubblici che si trovano
sul nostro territorio nazionale. Secondo la Corte, su un piano teorico, il
legislatore potrebbe decidere sia di vietare l’esposizione di simboli religiosi
in luoghi pubblici, sia di consentire a ogni soggetto di vedere rappresentati
in questi luoghi i simboli della propria religione. A detta dei giudici, quest’ultima
soluzione, tuttavia, potrebbe risultare problematica sotto il profilo della
praticabilità concreta, della tutela dei diritti dei non credenti e dei possibili
conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili.
Il 18 marzo a Strasburgo, la Grande Camera della Corte Europea per i diritti
dell'Uomo ha dichiarato che la presenza nelle aule scolastiche di questo simbolo
non viola i diritti umani, in quanto non lede nè il diritto dei genitori a
educare i figli secondo le proprie convinzioni, nè il diritto degli alunni
alla libertà di pensiero, di coscienza o di religione. La Corte ha definito
il crocefisso "un simbolo passivo" e ha affermato che "non sussistono elementi
che provino l'eventuale influenza sugli alunni dell'esposizione del crocifisso
nella aule scolastiche, anche perché non esiste un corso obbligatorio di religione
cristiana e l'ambiente scolastico italiano è aperto ad altre religioni". Alcuni
commentatori hanno plaudito a queste decisioni affermando che in tal modo
è stato riconosciuto che il crocifisso è un simbolo culturale. Il cardinale
Camillo Ruini ha ricordato che «Il crocifisso esprime valori universali e
da tutti condivisibili e le tradizioni religiose di un popolo possono essere
integralmente mantenute senza che ciò costituisca un ostacolo per l'accoglienza
di coloro che hanno e professano convinzioni diverse». La sentenza di Strasburgo
ha grande valore, aggiunge, perché «conferma alcuni principi fondamentali.
Innanzitutto la religione non deve essere esclusa dallo spazio pubblico. In
particolare le espressioni e i simboli della religione cattolica, come quelli
di ogni altra determinata fede e tradizione religiosa, non offendono coloro
che non condividono la nostra fede". Al termine del nostro cammino quaresimale
e, in particolare, a margine del Venerdì Santo, in cui abbiamo più intensamente
contemplato e adorato Gesù in croce, potremmo prendere spunto da un passo
delle decisioni citate per riflettere sul valore che noi cristiani gli attribuiamo.
In particolare, dovrebbe farci riflettere l'affermazione che definisce il
crocifisso un "simbolo passivo". Per noi la sua presenza nei luoghi pubblici
dovrebbe essere un messaggio "attivo" che ci parla di quell'Amore totale,
di quel senso pienamente donativo che dovremmo dare ad ogni attimo della nostra
vita, come imitatori del Cristo. Quel simbolo ci dovrebbe ricordare - ovunque
siamo - qual è la vera sostanza di Dio: non impassibile e estraneo alle "cose
terrene", ma che si è fatto uomo, donando tutto fino in fondo. L'Uomo sulla
croce ci indica la Via: poterlo incontrare nelle nostre vie quotidiane, nei
luoghi di formazione dei giovani e nelle aule di giustizia è un dono grande
che ancora in Italia viene offerto a tutti e a tutti offre il senso più vero
dell'esistenza.
Sabato Santo: Il Cristo risorto
Papa
Paolo VI, il 28 settembre 1977, alla presenza di dodicimila fedeli giunti
da tutto il mondo, inaugurò il "Cristo Risorto", opera dello scultore Pericle
Fazzini, come sfondo agli incontri che da allora si svolgono nell'Aula del
Vaticano, inizialmente denominata "Sala Nervi", che ora porta il nome del
papa bresciano. Chissà quante volte di persona o in Tv abbiamo visto alle
spalle del papa - o comunque sullo sfondo - quest'opera e distrattamente ne
abbiamo intuito la complessità, senza coglierne gli aspetti più significativi.
E' una gigantesca scultura (dimensioni: mt. 20x7x3) in bronzo e ottone, che
rappresenta un Cristo slanciato verso l'alto che benedice liberandosi dai
legami terreni. Nell'opera di Fazzini, la plasticità del Cristo esprime il
concetto di liberazione e resurrezione, colto immediatamente nell'attimo più
suggestivo; la scultura non é statica, ma esprime un movimento sia corporeo
che spirituale: "Si solleva furioso il vento, si piegano e si sradicano gli
alberi". L'immagine di Cristo risorgente si leva gloriosa e benigna non dal
sepolcro, ma da un vastissimo e folto intrico di forme semiastratte, simboleggianti
l'orto di Getsemani dove patì l'agonia e che, con saettanti elementi lineari,
evocano l'apocalittica potenza di una esplosione atomica. “Il Cristo risorge
da questo cratere apertosi dalla bomba nucleare: una atroce esplosione, un
vortice di violenza e di energia; ulivi divelti, pietre volanti, terra di
fuoco, tempesta formata da nuvole e saette e un gran vento che soffia da sinistra
verso destra”. Così Pericle Fazzini parla della sua Resurrezione. Cristo che
“si trasforma da cadavere in uccello”, emerge dalla natura di un intricato
orto di Getsemani, disgregandola. Ci vollero cinque anni di duro lavoro, per
realizzare quest’ opera monumentale in cui lo scultore, fondendosi con l’architettura
di Pier Luigi Nervi, sintetizzò ogni elemento della propria esperienza artistica:
l’eccezionale capacità tecnica, il significato della figura umana e il sentimento
mistico della natura. Nel presentarla al mondo, Paolo VI, inaugurò l'opera
con queste parole: "Noi vogliamo attestare, a voi Figli e Fratelli, che Cristo,
ancor oggi, è nella storia del mondo; ancor oggi più che mai, Cristo è vivo,
Cristo è reale. Vivo e reale, non nella penombra del dubbio e dell’incertezza,
non nell’interpretazione vanificante di un razionalismo miope ed orgoglioso;
ma vivo e reale nella dimensione del suo Essere divino, che solo la fede ammette
esultante. Cristo è presente. Il tempo non lo contiene e non lo consuma. La
storia si evolve e può assai modificare la faccia del mondo. Ma la sua presenza
la illumina, Egli è il gaudio della Terra; Egli è medico di ogni umana infermità.
Egli si personifica in ogni uomo che soffre: finché sarà il dolore sulla Terra,
Egli se ne farà propria immagine per suscitare l’energia della compassione
e del generoso amore". Fazzini aveva tratto la sua ispirazione dagli eventi
tragici della guerra. Oggi la guerra, nel nostro immaginario, forse non ha
più l'aspetto di un'esplosione atomica. La vediamo ogni giorno nella disperazione
di uomini, donne e bambini che soffrono per le violenze causate da un desiderio
di controllo delle risorse che calpesta ogni diritto ed ogni libertà. La scultura
della sala Paolo VI è sempre lì a parlarci della forza di Cristo e dell'Amore
che dalla distruzione e dalla morte rinasce ed annienta le terrene strutture.
La potenza del Risorto è quella forza a cui possiamo sempre attingere per
"spenderci" a favore del fratello schiacciato dalla violenza, dalla povertà,
dalla disperazione. Lo troviamo accanto a noi ogni giorno e ogni giorno ci
chiede di risorgere insieme a lui.
L’incontro
di catechismo dell’8 aprile, per il gruppo Emmaus è stato un po’ speciale.
Sì perché l’ha visto coinvolto nella preparazione della via crucis, della
sera stessa. Armati di creatività, un po’ di fantasia, un po’ di manualità,
un pizzico di pazienza e sostenuti da una cenetta pensata e preparata da mamme
e papà, abbiamo realizzato la “nostra” via crucis, alla scoperta di cinque
caratteristiche dell’amore di Gesù. E, lungo questo cammino sulla via dell’amore,
siamo arrivati a cinque “CROCE-VIA”. Se, infatti, si prende la parola “via
crucis” e la si inverte, risulta la parola “croce via”. Il “croce-via” è quell’incrocio
di strade dove occorre scegliere da che parte andare. La scelta di quale strada
prendere ad ogni “croce via” è stata facilitata dalla presenza di due cartelli
stradali: un DIVIETO, che ci ha indicato la strada da non prendere, e una
FRECCIA, che ci ha indicato la direzione dell’amore, quella che ha scelto
Gesù!. Ecco qui, un piccolo assaggio:
1° CROCE-VIA: Divieto di cronometro. Direzione, AMARE
SEMPRE
2° CROCE-VIA: Divieto di calcolatrice. Direzione, AMARE GRATIS
3° CROCE-VIA:
Divieto di metro. Direzione, AMARE SENZA MISURA
4° CROCE-VIA: Divieto di forbici.
Direzione, AMARE TUTTI
5° CROCE-VIA: Divieto di maschera. Direzione, AMARE
SUL SERIO
Abbiamo così “scoperto” che solo chi cammina sulla via della croce
riconosce come ama Gesù; solo chi sta sotto la croce, riconosce quanto è amato
da Gesù, solo chi si lascia amare da Gesù, impara ad amare. È un cammino a
volte faticoso, ma è questa la strada che Gesù ha tracciato: la strada dell’amore
autentico e sconfinato.
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In occasione della solennità dei SS. Faustino e Giovita il nostro Vescovo ha
voluto indirizzare una lettera sulla pastorale degli immigrati a tutta la
Diocesi di Brescia dal titolo “Stranieri Ospiti Concittadini”. Il Vescovo
non ha voluto e potuto esaurire il tema in questa lettera ma il suo intervento
credo faccia chiarezza in un momento in cui l’Italia e le comunità Cristiane
sono interessate da questo fenomeno.
Personalmente vedo con preoccupazione il modo con cui l’Italia (e in particolare i media e alcune posizioni politiche) stanno affrontando la questione e in particolare le parole usate per definire questo fenomeno. Parole come esodo o tsunami richiamano a tragedie che dovrebbero vergognare le persone che le utilizzano, soprattutto dopo la vera tragedia del Giappone e le drammatiche conseguenze che ha portato.
L’immigrazione è un fenomeno umano, le parole del Vescovo sono chiare: Credo
che si debba vedere l’immigrazione all’interno di questo fenomeno più ampio
e tipicamente umano: la ricerca di condizioni di vita sempre migliori, l’impulso
ad allargare gli interessi e le relazioni fino a comprendere, al limite, tutte
le persone.
La Storia stessa della Salvezza inizia con una migrazione, quella di Abramo.
Questo fenomeno non è scevro di problemi e difficoltà. La comunità cristiana
deve essere in grado per la sua stessa missione di accoglienza. Il Vescovo
fa notare come delle realtà molto strutturate (è il caso della nostra Diocesi)
possono provocare un senso di disorientamento agli stessi migranti Cristiani.
Può esserci un respingimento involontario. Non ci si può affidare solo all’iniziativa
dei migranti ma è necessario accoglienza. A Brescia sono già attivi momenti
in cui le persone di lingua straniera possono vivere l’Eucaristia nella loro
lingua natale ad esempio. Importante è anche la collaborazione con realtà
diverse senza ambiguità e facendo chiarezza. Ci deve essere cautela con movimenti
e sette radicalmente lontane dalla nostra fede (È per questo motivo che
non si debbono offrire o affittare gli ambienti parrocchiali per incontri
di questi movimenti o per pratiche psicologiche che sconfinano nel religioso).
Il dialogo con credenti di altre religioni presenta problemi più difficili.
Dobbiamo partire dalla convinzione che tutti gli uomini formano una famiglia
unica, voluta e creata da Dio. C’è dunque un amore eterno e generoso di Dio
che si rivolge verso ogni creatura umana; e se Dio ama ciascun uomo, lo stesso
amore aperto a tutti è chiesto a ciascuno di noi. Non possiamo disprezzare
nessuno, non possiamo essere indifferenti all’esperienza di nessuno; siamo
chiamati ad amare tutti e cioè a volere e difendere la vita di tutti. Su questo
non ci sono dubbi o incertezze. Naturalmente questo non significa essere relativisti
e cioè pensare che tutte le religioni siano uguali e che tutte le appartenenze
religiose si equivalgano. Può confondere le religioni in una miscela indistinta
solo chi non le conosce o chi ritiene che nell’ambito della religione non
ci sia questione di vero e falso, ma solo di preferenze personali. Questa
non è certo la concezione Cristiana della religione.
La collaborazione è necessaria per il benessere sociale, per le comunità.
L’esperienze di amicizia aiutano a far diminuire la paura, ovviamente questo
non deve affievolire l’impegno di fede della comunità e cadere nel buonismo.
L’annuncio del vangelo è rivolto a tutti. Come Cristiani possiamo solo desiderare
che tutti gli uomini riconoscano e accolgano l’amore di Dio. Questo senza
fare proselitismo (portare più persone dalla nostra parte), ma un segno tangibile
dell’amore, la missione, dice il Vescovo, o nasce dall’amore o non è missione.
La responsabilità politica dei cristiani non deve essere massimalista: accogliere tutti o chiudere a tutti. Abbiamo il dovere di riconoscere e di accogliere i rifugiati, abbiamo il dovere di solidarietà perché i beni della terra sono di tutti. Ci vuole equilibrio e questo lo riconosce anche il Vescovo non è semplice. Però bisogna partire dalle cose concrete, non dai facili allarmismi e dalle paure mediatiche. Il Vescovo individua situazioni concrete non regolari o discriminatorie.
Diritto a essere regolarizzato per chi effettivamente contribuisce al nostro
benessere (esempio della badante), sbagliato togliere il permesso a chi perde
automaticamente il posto di lavoro, cittadinanza ai figli di immigrati che
nascono in Italia, favorire riavvicinamenti familiari, premiare il lavoratore
adulto senza discriminazioni, non è lecito a un cristiano approfittare della
condizione di debolezza del contraente immigrato per imporre contratti non
equi… La lettera è disponibile sul sito della Diocesi di Brescia o è possibile
acquistarla nelle librerie Cattoliche al prezzo di 1 euro. La lettera può
aiutare ad affrontare con più serenità questo tema, il Vescovo invita anche
i Consigli Pastorali a leggerla e a vedere la situazione della propria comunità
perché ogni situazione che viviamo è una domanda che dobbiamo cercare di
rispondere alla luce della fede.
a cura di Carmine
Con il "Palio delle Contrade" ormai alle porte, il Gruppo Sportivo concentra le sue forze nell'allestimento della tradizionale manifestazione, che anche quest'anno proporrà divertenti momenti di condivisione e interessanti esibizioni sportive a cui tutti i parrocchiani possono partecipare. Come sempre, la riuscita dell'evento non dipenderà dai risultati agonistici, quanto dalla partecipazione che sarà capace di suscitare, per vivere alcune serate nella serenità e nella familiarità "all'ombra del campanile".L'inizio del Palio è prevista per l'inizio del mese di giugno (3 - 4 - 5 e 10 - 11 e 12 giugno) ed è naturalmente sempre necessaria la collaborazione di quanti possono rendersi disponibili per le varie iniziative collegate ai giochi. Per quanto riguarda gli impegni agonistici delle nostre rappresentative, registriamo il fatto che le nostre squadre di calcio "under 14" e "allievi" hanno iniziato al meglio le rispettive avventure in Coppa Leonessa, consentendo ai propri giovani atleti ancora interessanti incontri con i coetanei di tutta la provincia, nel tentativo di superarsi e superare i propri limiti. La rappresentativa di pallavolo ha, invece, concluso gli impegni agonistici. Le nostre ragazze, guidate dalla triade Giulia - Camilla - Greta (a cui, insieme a Terry, va il più caloroso grazie), hanno dovuto superare molte difficoltà, imposte soprattutto dal limitato numero di atlete iscritte, a cui non sono tuttavia mai mancati volontà e spirito di squadra. I gruppi dei più piccoli (under 8 e under 10) stanno vivendo la parte conclusiva dei rispettivi campionati e a metà maggio saranno impegnati nella festa polisportiva finale in quel di Montichiari, a cui parteciperanno con la consueta straordinaria carica che li ha accompagnati per tutto l'anno. Intanto, le nuove leve (bambini nati nel 2004 e 2005) continuano a frequentare gli allenamenti del mercoledì con un entusiasmo travolgente, dando grandi speranze di continuità per i prossimi anni e soprattutto fornendo un insostituibile spirito di gioia e spensieratezza che spesso lo sport dimentica di mettere alla base del proprio esistere.