La Bussola - Casazza
Natale 2011

indice degli articoli:
"Carissimi" il messaggio natalizio del parroco
Colui che asseta e disseta il cuore dell'uomo
Il presepe in famiglia
Intervista di Natale a Victor
Avvento - Attesa
Icona della Natività di Cristo
Il regalo
Vi scrivo da Nazareth
GSO: il punto
Presepe... vivente?

Carissimi,

L’evento della nascita di Gesù, il Cristo, ci coglie di sorpresa!
IL racconto della natività, nel Vangelo di Luca, non ha contenuti folcloristici o emozionali particolari; mancano totalmente festoni e luminarie.
Ed è significativo questo, perché il Natale di Dio chiede un silenzio contemplativo e un delicato stupore: atteggiamenti interiori quanto mai necessari per meditare il mistero del meraviglioso scambio tra l’uomo e Dio, tra cielo e terra.
Scambio accompagnato dall’annuncio gioioso della Parola di Dio: “L’Angelo disse loro: Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,10-13).
L’annuncio gioioso è proprio questo: la Parola si è fatta pianto di Bambino.
Ecco il Natale: Dio viene come un bambino e la sua venuta non fa paura. Anzi, cambia e infrange tutte le idee sbagliate che ci siamo fatti su Dio.
Quel Bambino ci ricorda una verità fastidiosa: “in ogni figlio” c’è una benedizione e una promessa e il dono della vita domanda sempre gratitudine e riconoscenza.
Nel Natale di Gesù, Dio chiede all’uomo un dono: Entra in te stesso, nel tuo segreto più profondo, là dove nascono i sogni e l’amore… E lì vedrai emergere un Volto che non è il tuo volto, ma quello di Gesù che vive per il tuo amore.
Con stupore e ancora una volta, possiamo dire tutti insieme: Ti contempliamo in un corpo indifeso e umile di bambino, come Parola viva, Amore infinito, certezza per le nostre speranze. “Amen. Vieni Signore Gesù!”.
Buon Natale!
Il vostro parroco, Don GianMario

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COLUI CHE ASSETA E DISSETA IL CUORE DELL’UOMO
Spunti di riflessione tratti dalle tre Serate d’Avvento, guidate da Don GianMario, lunedì 28 novembre, 5 e 12 dicembre

Nel deserto del mondo contemporaneo l’umanità assettata continua a gridare, come gli Ebrei a Mosè: "Dacci da bere! Stiamo morendo di sete…".
E’ il grido che sale verso i governanti, verso le ideologie, verso la cultura. È il grido soprattutto rivolto alla Chiesa: Dacci da bere! Dov'è l'acqua viva che può dissetarci?
L'uomo ha sete di verità. È posto di fronte a problemi, dai quali dipende l'orientamento della sua vita: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
L'uomo ha sete di libertà. Siamo quasi paralizzati nelle nostre abitudini, nel nostro sistema di vita, nelle nostre debolezze. Chi spezzerà le nostre catene?
L'uomo ha sete di giustizia. Viviamo in un mondo spietato, nel quale il forte schiaccia il debole. Chi può ristabilire ciascuno nel suo diritto?
L'uomo ha sete soprattutto di amore. La vera felicità è quella che sgorga dall'amore. Nessuno è felice se non ama e se non è amato. Chi ci può condurre al vero amore?
Tra le sabbie del deserto, cerchiamo un pozzo che abbia acqua pulita, capace di togliere la sete d'infinito che è dentro di noi. Sappiamo che esiste da qualche parte .
Attingiamo acqua dal pozzo del denaro ed abbiamo sempre più sete; al pozzo del piacere e sentiamo prosciugarci la gola. Attingiamo acqua al pozzo del successo e ci sentiamo annebbiare la vista!
Siamo forse condannati a morire di sete, inappagati cercatori di certezze assolute?
Don Gian Mario ci ha condotti in una riflessione originata dal quesito "E' ancora possibile, oggi, parlare di Dio all'uomo del nostro tempo?
Quando pensano a Dio, gli uomini usano immagini o parole per rappresentarlo. Dio, però, è sempre al di là delle parole e delle immagini ricercate dagli uomini: è un Dio nascosto, che si può conoscere, ma non "sapere" fino in fondo.
Più che parole, davanti a Dio ci vuole silenzio, quel silenzio che è generato dal pudore e dalla discrezione e, che a sua volta, genera stupore e meraviglia.
In silenzio è possibile allora contemplare il Volto di Dio, un volto indescrivibile, ma sicuramente dai tratti umani.
Molti non credono più in Dio, perché nelle grandi tragedie del singolo così come dell'intera umanità, Dio appare assente.

Ma non è possibile pensare a Dio che schiaccia l'uomo: non sarebbe Dio. Abbiamo tanto bisogno di Dio e Dio rimane con noi, avvolgendoci con il Suo amore, che scaturisce da un cuore di padre, ma anche di mamma.
Don Gian Mario ci ha, poi, presentato il Regno dei Cieli come simile ad una perla preziosa, ci ha guidati, attraverso alcuni spunti di riflessione, per condurci alla conclusione che amare gli uomini e amare Dio è un tutt'uno.
L'uomo è consapevole che il suo cuore è sempre assetato di amore, verità, giustizia, ma anche di potere e successo. Così intrappolandolo nei propri schemi mentali, finisce per convincersi che Dio si realizza nella contrapposizione all'uomo, ovvero che tanto più l'uomo è sofferente, tanto più Dio è potente.
Quest'immagine di Dio conduce, però, ad allontanarsi da Lui, preferendo riporre le proprie speranze e il proprio credo esclusivamente sull'uomo.
Ma se è sicuramente attuabile credere nell'uomo senza credere in Dio, non è assolutamente possibile credere in Dio senza credere nell'uomo. Perché Dio stesso ha bisogno degli uomini: agisce attraverso di essi, ripone in loro una fiducia incondizionata e soprattutto non smette mai di amarli gratuitamente.
Proprio per questo Dio non smetterà mai di cercare ciascuno di noi, come il mercante che va in cerca di perle preziose. Dio è in viaggio perché desidera trovarci e per noi è disposto a vendere tutto, a spogliarsi della sua divinità e a venire ad abitare in mezzo a noi.
In questi giorni di grazia, allora, che ci conducono a contemplare il mistero di Dio fatto uomo, non possiamo negarci a Lui: ecco le nostre mani, Signore, usale; ecco il nostro cuore, fanne sorgente del Tuo amore per chi ci accosta, affinché senta attraverso di noi che Tu vivi.

Katia

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Genitori e figli insieme
IL PRESEPIO IN FAMIGLIA

La tradizione cristiana, fin dal 1223 a Greccio per opera di S. Francesco d’Assisi, propone il “segno” del Natale: il presepio. Il presepio costruito in casa dai membri di una famiglia credente è invece un segno di fede: non un’opera artistica, né uno spettacolo che richiama i visitatori… anche se in molti posti si fa il “concorso presepi” per premiare il più bello.
Già costruendolo, tutta la famiglia rilegge l’avvenimento che celebra. Inoltre, alla sera o durante il giorno, tutta la famiglia, ponendo davanti ala presepio un lumino acceso, può riunirsi per un momento di preghiera comune: alcune righe dei vangeli di Matteo e di Luca, una preghiera spontanea di ciascun membro della famiglia, un “Padre Nostro”, la benedizione del papà e della mamma ai figli.
Il presepio diventerà così un continuo richiamo alla realtà del Natale cristiano, celebrato in famiglia e vissuto con la comunità intera.

Don GianMario

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INTERVISTA DI NATALE A VICTOR

Da qualche mese collabora nella nostra Parrocchia un simpatico trentaduenne messicano, studente in teologia a Roma, ospite della Comunità dei Padri Scalabriniani della Stocchetta. Il suo nome è Victor Cordova Gonzales, per tutti: Victor.
Per noi chierichetti è diventato un punto di riferimento, un coordinatore del nostro gruppo che è composto da tanti bambini e che ha bisogno di qualcuno che dia le giuste indicazioni.
A lui ho rivolto alcune domande per conoscerlo meglio e in questa Bussola riferisco alcune informazioni che riguardano il suo Paese d'origine.

- In quale città sei nato? A che età hai lasciato il tuo Paese?
Sono nato in Messico nella città di Juárez Chiapas, che si trova nel sud del Messico.
Lì ho fatto tutti gli studi fino all'università, quando ho fatto la scelta di entrare in seminario, dopo ho studiato filosofia, ho fatto il noviziato e nel 2008 ho lasciato il Messico per iniziare a Roma lo studio teologico e sono contento di essere qua a Roma.
- Qual è una tipica tradizione natalizia della tua città?
Una tradizione tipica del Messico di Natale è "las posadas", che con una traduzione simultanea potremmo tradurre con il termine "ospitalità". Consiste nell'accompagnare Giuseppe e Maria durante nove giorni prima della Notte di Natale e in questo periodo Giuseppe e Maria vanno in giro per le casa e chiedono alloggio. E' una simpatica e popolare tradizione (risalente probabilmente alla metà dei XVI secolo), che ripropone l'episodio dell'arrivo a Betlemme di Giuseppe e Maria e della loro ricerca di un luogo dove alloggiare.
«Dar posada» vuol dire ospitare un viandante e, nella tradizione natalizia, la posada è l'abitazione stessa che accoglie i protagonisti della natività. In quest'occasione un corteo segue Giuseppe e Maria (rappresentati da due bambini vestiti appropriatamente oppure delle statue portate dai bambini) che vanno a chiedere «posada», cioè ospitalità, in una casa. Prima di arrivare alla casa dove verranno accolti, si fermano a chiedere il permesso per alloggiare presso altre abitazioni con esito, però, negativo. Poi la processione riprende al suono degli strumenti musicali, intervallato da preghiere e canti di litanie.
Finché, dinanzi alla porta della casa prescelta, al gruppo nella strada che domanda «posada» con un canto, risponde dall'interno dell'abitazione un secondo coro. Quindi viene aperta la porta per accogliere gli ospiti con Giuseppe e Maria.
Dopo aver pregato tutti insieme, la famiglia ospitante offre dolci e bevande.

Giulio

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Avvento - Attesa

Mi accorgo solo oggi, mio Signore,
e con disagio,
che ho quasi sempre sbagliato l’attesa.
Sì, il cuore era trepidante al solo sentire la parola Avvento,
ma per che cosa trepidava?
In fondo che cosa ho atteso,
che cosa attendo?
Forse nulla o forse solo cose.
Ma non erano e non sono queste
che dovevo attendere.
Non le luci sfavillanti della città,
il clima festoso che mi avvolge,
volti sorridenti che mi passano accanto,
vetrine addobbate a festa,
i babbo natale che ti offrono caramelle,
i doni…, cose, cose , cose!
Ecco perché il mio cuore alla fine
è quasi sempre vuoto,
perché le cose non riempiono
se non spazi già stracolmi di queste cose.
Ed io incolpavo tutti
e mi dicevo che erano altri
i dissacratori di questa attesa e di questa venuta,
perché altri avevano occupato
tutto lo spazio vuoto che c’era in me.
Ma se questo è avvenuto
è solo perché io ho lasciato
tanto spazio vuoto in me, nel mio cuore.
E mi sembrava di essere felice…
di gustare questa attesa,
ma tutte le sere Tu
hai bussato al mio cuore e mi dicevi:
“Chi hai atteso, oggi?”.
E mi sono ritrovato con il cuore vuoto, freddo,
nonostante il calore della casa,
il calore delle luci variopinte.
Solo ora ti chiedo di risvegliare in me
il desiderio di attendere le persone,
di attendere Te, in modo nuovo.
Ecco perché sono quasi sempre inquieto
(S. Agostino diceva: inquietum cor meum
donec requiescat in Te!),
perché non ho sostituito le cose con Te,
che sempre bussi alla mia porta.
Allora chi mi rende inquieto sei Tu
che vuoi che io desideri il nuovo,
vuoi che senta nell’aria
il profumo della Tua dolce presenza,
Tu l’amico vero che non mi abbandona mai.
Maranatha:
Vieni Signore Gesù,
vieni nel mio quotidiano.
A tutti,
ma soprattutto a coloro
che Ti hanno atteso in modo giusto
rendi Tu Buono questo Natale!

Cesare
(Avvento 2011)

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ICONA DELLA NATIVITA' DI CRISTO

Secondo la tradizione, la prima rappresentazione della nascita del Salvatore fu un affresco, commissionato dall'imperatore Costantino per la basilica della Natività a Betlemme. Questa prima immagine sarebbe servita da modello agli altri pittori.
L'icona che troviamo sulla parete ovest della nostra chiesa parrocchiale presenta il mistero della Natività del Signore secondo la raffigurazione propria delle Chiese dell'Oriente cristiano. L’icona non si limita a rappresentare il fatto, ma ne esprime il significato teologico e, seguendo la tradizione orientale, non conosce l’atmosfera di familiare intimità che caratterizza le composizioni occidentali.
Le diverse scene che si riferiscono alla Natività sono distribuite su tre fasce orizzontali che si ordinano intorno al centro dell'immagine, costituito dalla figura della Vergine Madre e dal Bambino: la parte alta, relativa alla sfera celeste; la mediana, riguardante il piano di salvezza di Dio; quella bassa, raffigurante la natura terrena ed umana. Sullo sfondo la montagna messianica a due colori indicante la duplice natura di Gesù. Questo monte è il Cristo stesso.
Il movimento discendente
La parte superiore dell'icona:
la sfera Celeste.
Iniziamo la lettura dalla raffigurazione partendo dal movimento d'amore di Dio verso la creazione. Esso è espresso dal raggio di luce che traccia l'asse verticale di tutta la composizione e proviene da una semisfera posta nella parte superiore dell'icona. Questa semisfera è dipinta con diverse sfumature di blu, il colore della trascendenza: evoca la presenza di Dio, che pose nelle tenebre il suo nascondiglio.
Il Dio trinitario esaudisce la preghiera di Isaia: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63, 19).
Sopra la grotta vediamo due angeli. Anche se le loro bocche sono chiuse (come su tutte le icone), la loro bellezza e la loro dignità costituiscono già di per se stesse il rendimento di lode a Dio. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli...».
La parte centrale: il piano della Salvezza
Nella fascia mediana è illustrato il mistero dell'Incarnazione, il mistero stesso della Natività.
A destra, il pastore, che rappresenta il popolo d'Israele, riceve l'annuncio dall'alto. L'angelo gli annuncia la venuta del Salvatore, lo saluta alla maniera greca ed è rivolto in basso per dire che ormai è inutile sforzarsi di salire: è il tempo in cui Dio stesso scende e si rende visibile a chi lo cerca con cuore sincero.
L'alberello rievoca la profezia di Isaia, “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse” (Is 11,1), rappresenta l’adempimento delle promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza
Maria appare come la Santissima Sovrana. La Madre di Dio, seduta su di un manto bianco che la contorna e quasi la isola in una mandorla di gloria, è accanto al bimbo, lo indica con la mano destra (come nelle icone Odigitria) e sembra volgersi verso lo spettatore, ha lo sguardo rivolto verso di noi: ci accoglie tutti e riconosce in noi la nascita del suo Figlio. Le tre stelle che si scorgono sul manto regale, sono i simboli tradizionali della sua verginità prima, durante e dopo il parto.
Il Bambino Gesù cuore dell’icona.
Cristo è il centro dell’icona. La figura del Bambino è tutta in riferimento al mistero pasquale: il suo corpo è già stretto nelle bende della morte Quelle stesse fasce che ora sono indicate dagli angeli ai pastori come un segno di riconoscimento del bambino divino, saranno l’unico segno del risorto per le donne, per Pietro e per Giovanni, davanti al sepolcro vuoto. Tutto richiama ed indica la vittoria sulla morte e sugli inferi resa possibile dall'Incarnazione.
Giace in una mangiatoia più simile ad un altare-sarcofago, un sepolcro dalla forma tradizionalmente squadrata e le pareti murarie che di fatto è una tomba. Il neonato è adagiato lì, in quanto è nato affinché con la sua morte fossero vinti la morte e il peccato: è così chiaramente indicato il nesso tra l'Incarnazione e la Croce.
La mangiatoia nella stalla inoltre richiama un’immagine diffusa anticamente: l’uomo si nutre di peccati perché ha paura di morire, cerca la salvezza allo stesso modo in cui l’animale prende il cibo dalla mangiatoia. Ora, Dio lo va ad incontrare proprio in quel luogo e si “fa cibo” per lui. E' chiaro il richiamo all’Eucarestia: il bambino, posto nella mangiatoia per l'asino ed il bue, raffigura l’Agnello Eucaristico, come cibo per i nuovi uomini (i gentili ed i greci simboleggiati dai due animali), anch’egli “fattosi alimento” per la salvezza degli uomini.
Alle sue spalle si spalanca il buio della grotta, macchia nera, simbolo delle tenebre del mondo, della notte, del caos, confusione e non senso, nel quale Gesù, Luce del mondo, entra, vince la notte, illumina tutte le nostre notti.
Le figure tradizionali del bue e dell'asino (in realtà un cavallo, perché l'asino era sconosciuto agli iconografi russi) che non sono citati nei Vangeli, devono la loro presenza ai vangeli apocrifi. Secondo gli autori cristiani raffigurano la parola del profeta Isaia: “Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone; Israele invece, non comprende, il mio popolo non ha senno” (Is 1,5) e simboleggiano quindi le Genti diverse dal popolo ebraico.
Parte bassa: la natura terrena ed umana
La sfera inferiore illustra il livello dell'umanità: il colore verde simboleggia l'Umanità che si sta rinverdendo, arbusti che nascono dalla roccia: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).
A sinistra S. Giuseppe, seduto, medita sul mistero di questa nascita, viene ritratto nel momento più difficile della sua vicenda personale: la sua posizione è quella del dubbio: “Come è possibile che una Vergine possa concepire un figlio! Come è possibile che la grandezza di Dio si sia nascosta in questa grotta!”. Giuseppe, dunque, è l’uomo che si interroga davanti al mistero. I dubbi di Giuseppe, rappresentano le nostre fatiche, le nostre esitazioni e resistenze. Egli non può capire da solo.
Più a destra, una levatrice lava il bambino appena nato, come si fa con ogni bambino che viene al mondo. Le pecore e le capre, pascolando sui pendii, indicano che questa è la montagna, prefigurata da Isaia per la fine dei tempi, dove regnerà la pace. Nel gesto del bagno viene prefigurato il Battesimo e sottolineata la perfetta umanità del Cristo. Lavando Gesù come un qualsiasi altro bambino si testimonia che Egli è vero uomo. L'intenzione dell'iconografo è quella di voler pienamente rappresentare l’umanità reale e non apparente di Cristo, ricorrendo ad un atto ordinario ed assolutamente umano. Questa scena esplicita il carattere terreno della nascita del Cristo: essa mostra che «il Dio che esiste prima dell'inizio dei secoli» ha pienamente assunto la realtà della natura umana, dato che, come ogni neonato, ha avuto bisogno dei propri simili, sin nei particolari più banali.
Così, questo ultimo dettaglio della nascita del Signore, a prima vista semplicemente poetico e pittoresco, completa la manifestazione del Verbo incarnato e riporta il nostro sguardo verso il centro: il bambino adagiato nella mangiatoia, il Dio fatto uomo per amore degli uomini.

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IL REGALO

un racconto di Bruno Ferrero

Tobia era un bambino di quarta elementare silenzioso e sereno. Viveva con i genitori e i fratelli in una modesta casetta ai margini del paese appollaiato su una collina costellata di ulivi a qualche chilometro dal mare.
Il giorno di chiusura della scuola prima delle vacanze di Natale, tutti i bambini della quarta elementare fecero a gara per portare un regalo alla maestra, che si chiamava Marisa ed era gentile e simpatica.
Sulla cattedra si ammucchiavano pacchetti colorati. La maestra ne notò subito uno piccolo piccolo, con un bigliettino scritto dalla calligrafia chiara e ordinata di Tobia: “Alla mia maestra”.
Marisa ringraziò i bambini, uno alla volta.
Quando venne il turno di Tobia, aprì il pacchettino e vide che conteneva una piccola magnifica conchiglia, la più bella che la maestra avesse mai visto: era tutta un ricamo pieno di fantasia, foderato di madreperla iridescente.
“Dove hai preso questa conchiglia, Tobia?” chiese la maestra.
“Giù alla Scogliera Grande” rispose il bambino.
La Scogliera Grande era molto lontana e si poteva raggiungere solo tramite un sentierino scosceso. Era un cammino interminabile e tribolato, ma solo là si potevano trovare delle conchiglie speciali, come quella di Tobia.
“Grazie, Tobia. Terrò sempre con me questo bellissimo regalo che mi ricorderà la tua bontà. Ma dovevi proprio fare quel lungo e difficile cammino per cercare un regalo per me?”.
Tobia sorrise: “Il cammino lungo e difficile fa parte del regalo”.

Non si regala un oggetto. Si regala un pezzo del proprio amore.
L’unico vero dono è un pezzo di sé.

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Vi scrivo da Nazareth

di don Tonino Bello

Vi scrivo da Nazareth, anzi dal cuore di Nazareth, vicino a quel cratere misterioso dove Dio si è fatto uomo e da dove è partito tutto.
Assorto dinanzi alla grotta del sì di Maria, scavo con gli occhi lo spessore del tempo nella speranza di poggiare lo sguardo su quella patina di roccia dove Colui che era fin da principio ha appoggiato i piedi.
Ma non riesco a forare le stratificazioni di venti secoli per mettere a nudo il livello di calpestìo dei suoi passi.
Gli archeologi ci sono riusciti io no.
E’ un’avventura ai limiti dell’assurdo che mette in crisi la mia fede: perchè è difficile immaginare che tra quelle pietraie abbia collocato la sua dimora Colui che cavalca i cherubini e si libra sulle ali del vento e fa delle nubi il suo carro e stende il cielo come una tenda e costruisce sulle acque la sua dimora.
A quale arcano disegno di amore ha inteso obbedire quando, attraversata la compattezza dei secoli dei secoli Lui, l’increato che i cieli non possono contenere, è venuto ad arenarsi in questa insenatura calcarea che sta davanti a me. Ed è mai pensabile che nel disegno universale di salvezza scritto sui rotoli di Dio fin dall’eternità, abbia trovato qui in questi tuguri di pecorai il bandolo da cui si è dipanato.
Peguy parlava di “carnalità della grazia” e forse devo adattarmi a leggere in questa frase l’unica risposta capace di placare il tumulto delle mie forsennate domande. “Carnalità della grazia”, salvezza che ci raggiunge solo attraverso interstizi di grembi, sollecitudini trinitarie che possono farci trasalire unicamente mediante sorrisi umani e inflessioni di parole e curvature di carezze. Circuiti celesti d’amore che toccano i nostri corpi terreni solo per via di lampeggiamenti di occhi, di fragranze e di sudori, di brividi sulla pelle, di lacrime sul viso.
Sentieri fioriti dell’eterno, che per incrociare l’uomo si fanno viottoli terreni e passano dai nostri pozzi e si sfilacciano nelle nostre valli e si inerpicano sui nostri colli e sfiorano le nostre case.
Come questa casupola di Maria nella quale il respiro di Dio, prima di farsi rantolo di morente, si è fatto alito di bambino, profumato di latte materno e di basilico. “Se vuoi essere universale parlami del tuo villaggio”: forse chi ha detto così ha proprio pensato alla Nazareth di Gesù, questa incredibile concentrazione di povertà, che ha rivestito del suo dialetto il linguaggio universale di Dio e ha circoscritto nell’umiltà delle sue saggezze paesane la sapienza del Verbo.
Ma se un annuncio di gioia ve lo posso dare anch’io come l’ha dato Gabriele voglio dirvi così: non temete; se Colui che è da principio non ha disdegnato questi sassi non disprezzerà neppure i macigni del vostro povero cuore. Sappiate offrirglieli, perché possa stabilire in mezzo agli uomini il suo domicilio e continuerà anche per il vostro sì l’avventura della redenzione.

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GSO:IL PUNTO

a cura del GSO Casazza

E' arrivata la pausa invernale.
Quest'anno l'ultimo impegno agonistico, per molti atleti ha coinciso con la serata del Natale dello Sportivo.
Per le nostre squadre di calcio, gli ultimi incontri sono stati caratterizzati da ottime prestazioni contro squadre molto ben organizzate e sia gli Juniores, sia gli Under 14 hanno dimostrato di essere gruppi che accettano ogni confronto con lo spirito giusto.
Gli Under 8 sono uno spettacolo a sé: dovevate vederli quel pomeriggio di pioggia quando, non potendo fare allenamento sul campo, si sono scatenati al calcio balilla!
Protagonista assoluto delle sfide sportive di fine anno, per i nostri atleti più giovani, è stato il tennistavolo.
Le ragazze del minivolley si sono proprio divertite nella loro prima festa polisportiva. Alcune di loro si sono ritrovate un giovedì nel salone dell'oratorio, per carpire i segreti dei nostri allenatori storici del ping-pong; poi hanno disputato accesissimi confronti con tante coetanee e, pur sempre conuna rete a dividerle dalle avversarie, si sono trovate a proprio agio vincendo molti set. Da allora proseguono ogni settimana a coltivare questa loro nuova passione
Anche per gli under 10 la festa polisportiva è stata un simpatico modo di provare qualcosa di diverso dal "solito calcio" e gli allenamenti di tennistavolo hanno reso i bambini pronti a confrontarsi con pari età molto ben preparati. Il risultato è stato: un'ottima figura e un gran divertimento.
Ciliegina sulla torta è stato il torneo Regionale di tennistavolo, svoltosi in provincia di Cremona, domenica 11 dicembre.
I nostri piccoli atleti della categoria "giovanissimi" si sono aggiudicati il primo posto (Stefano) ed il terzo posto (Nicolò), coronando così un pomeriggio sportivo, vissuto anche all'insegna dell'incontro con tanti ragazzi provenienti da tutta la Lombardia.
Concludiamo rivolgendo un sentito augurio di ogni serenità per il periodo natalizio a tutte le famiglie dei nostri piccoli/grandi atleti, dando a tutti appuntamento a gennaio per la ripresa delle attività con tanta voglia di crescere insieme.
GSO CASAZZA

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Presepe … vivente?

Nel periodo natalizio è molto frequente che i bambini siano chiamati ad interpretare presepi viventi più o meno impegnativi, ma sempre carichi di significato per chi assiste e per chi vi partecipa.
Anche nella nostra Parrocchia spesso è stato seguito il solco di questa bella tradizione che spesso svolge una catechesi spicciola, ma molto efficace.
Mi sono chiesto quanto di quello che i ragazzini interpretano scava nel loro cuore e nella loro mente anche alla luce di quella che è stata la mia esperienza.
Ogni anno nella mia parrocchia di origine, in chiesa, una sacra rappresentazione precedeva la Messa della Notte di Natale.
Avevo quattordici anni quando mi fu affidato il ruolo più prestigioso: ero S. Giuseppe!
L'anno precedente i ragazzi chiamati a ricoprire il ruolo di Giuseppe e Maria avevano chiacchierato allegramente durante tutta la "recita", scandalizzando i parrocchiani presenti: toccava a me ridare dignità ai personaggi. Avevo la precisa intenzione di eseguire un'interpretazione impeccabile, non avrei degnato di uno sguardo la Madonna, restando tutto assorto nella contemplazione del mistero dell'incarnazione, mostrando una assoluta trascendenza: non era difficile!
La ragazzina scelta per il ruolo di Maria, poi, era etichettata dai miei coetanei come la più carina del gruppo e molti invidiavano la mia possibilità di poterle stare accanto per così tanto tempo.
Ma io all'epoca ritenevo che le ragazze fossero solo una inutile perdita di tempo e poi mi sentivo come investito del compito di dimostrare il mio totale rispetto del ruolo, tanto da non rivolgere quasi mai la parola alla malcapitata.
La sera della veglia natalizia, le luci, i canti, la recitazione, la disposizione... tutto di quel "presepe vivente" fu perfetto, non ci furono chiacchiere in scena, nessun imprevisto: era andato tutto secondo copione.
Pensavo di aver dato un'ottima prova di serietà e compostezza, di meritare quindi i complimenti dell'Assemblea spettatrice, ma i commenti che sentii non furono positivi. Uno dei più teneri, in dialetto siciliano, fu: "parìa ca Giuseppe e Maria ierunu sciarriati!”.
Traduzione: sembrava che Giuseppe e Maria avevano litigato!
Ero stato anche fisicamente così lontano dalla "Madonna" che avevo trasmesso l'idea di un atteggiamento di ostilità!
Ripensando dopo a quell'episodio, ho riflettuto sul fatto che la famiglia che ha accolto il Signore incarnato non avrebbe potuto essere composta da freddi personaggi, tutti dediti a preghiere e meditazioni. Piuttosto, mi sono ritrovato ad immaginarli come due giovani che si amano e che hanno messo il loro amore al servizio di qualcosa di immensamente più Grande.
Il calore che ha accolto Gesù Bambino doveva essere non solo quello di un asino e un bue (come narrano i vangeli apocrifi), ma quello di una coppia che nel reciproco donarsi aveva messo il centro della propria vita e aveva reso possibile il compimento delle Promesse fidandosi di Dio e affidando alle Sue mani la capacità di trasfigurare il quotidiano nel divino.
Sono certo che S. Giuseppe ha sorriso nel seguire il mio atteggiamento in quella notte di Natale, così come sono certo che al suo amore, alla sua fede e alla sua dedizione devo ispirare il vivere quotidianamente il "suo ruolo" di papà nella mia famiglia (non è facile).

Carmine