indice degli articoli:
"Carissimi" il messaggio natalizio del parroco
Colui che asseta e disseta il cuore dell'uomo
Il presepe in famiglia
Intervista di Natale a Victor
Avvento - Attesa
Icona della Natività di Cristo
Il regalo
Vi scrivo da Nazareth
GSO: il punto
Presepe... vivente?
Levento della nascita di Gesù, il Cristo, ci coglie di sorpresa!
IL racconto della natività, nel Vangelo di Luca, non ha contenuti folcloristici
o emozionali particolari; mancano totalmente festoni e luminarie.
Ed è significativo questo, perché il Natale di Dio chiede un silenzio
contemplativo e un delicato stupore: atteggiamenti interiori quanto mai necessari
per meditare il mistero del meraviglioso scambio tra luomo e Dio, tra
cielo e terra.
Scambio accompagnato dallannuncio gioioso della Parola di Dio: LAngelo
disse loro: Non temete, ecco, vi annunzio una grande gioia, che sarà
per tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi
un salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete
un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia (Lc 2,10-13).
Lannuncio gioioso è proprio questo: la Parola si è fatta
pianto di Bambino.
Ecco il Natale: Dio viene come un bambino e la sua venuta non fa paura. Anzi,
cambia e infrange tutte le idee sbagliate che ci siamo fatti su Dio.
Quel Bambino ci ricorda una verità fastidiosa: in ogni figlio
cè una benedizione e una promessa e il dono della vita domanda
sempre gratitudine e riconoscenza.
Nel Natale di Gesù, Dio chiede alluomo un dono: Entra in te stesso,
nel tuo segreto più profondo, là dove nascono i sogni e lamore
E lì vedrai emergere un Volto che non è il tuo volto, ma quello
di Gesù che vive per il tuo amore.
Con stupore e ancora una volta, possiamo dire tutti insieme: Ti contempliamo
in un corpo indifeso e umile di bambino, come Parola viva, Amore infinito, certezza
per le nostre speranze. Amen. Vieni Signore Gesù!.
Buon Natale!
Il vostro parroco, Don GianMario
Nel deserto del mondo contemporaneo lumanità assettata continua
a gridare, come gli Ebrei a Mosè: "Dacci da bere! Stiamo morendo
di sete
".
E il grido che sale verso i governanti, verso le ideologie, verso la cultura.
È il grido soprattutto rivolto alla Chiesa: Dacci da bere! Dov'è
l'acqua viva che può dissetarci?
L'uomo ha sete di verità. È posto di fronte a problemi, dai quali
dipende l'orientamento della sua vita: Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
L'uomo ha sete di libertà. Siamo quasi paralizzati nelle nostre abitudini,
nel nostro sistema di vita, nelle nostre debolezze. Chi spezzerà le nostre
catene?
L'uomo ha sete di giustizia. Viviamo in un mondo spietato, nel quale il forte
schiaccia il debole. Chi può ristabilire ciascuno nel suo diritto?
L'uomo ha sete soprattutto di amore. La vera felicità è quella
che sgorga dall'amore. Nessuno è felice se non ama e se non è
amato. Chi ci può condurre al vero amore?
Tra le sabbie del deserto, cerchiamo un pozzo che abbia acqua pulita, capace
di togliere la sete d'infinito che è dentro di noi. Sappiamo che esiste
da qualche parte .
Attingiamo acqua dal pozzo del denaro ed abbiamo sempre più sete; al
pozzo del piacere e sentiamo prosciugarci la gola. Attingiamo acqua al pozzo
del successo e ci sentiamo annebbiare la vista!
Siamo forse condannati a morire di sete, inappagati cercatori di certezze assolute?
Don Gian Mario ci ha condotti in una riflessione originata dal quesito "E'
ancora possibile, oggi, parlare di Dio all'uomo del nostro tempo?
Quando pensano a Dio, gli uomini usano immagini o parole per rappresentarlo.
Dio, però, è sempre al di là delle parole e delle immagini
ricercate dagli uomini: è un Dio nascosto, che si può conoscere,
ma non "sapere" fino in fondo.
Più che parole, davanti a Dio ci vuole silenzio, quel silenzio che è
generato dal pudore e dalla discrezione e, che a sua volta, genera stupore e
meraviglia.
In silenzio è possibile allora contemplare il Volto di Dio, un volto
indescrivibile, ma sicuramente dai tratti umani.
Molti non credono più in Dio, perché nelle grandi tragedie del
singolo così come dell'intera umanità, Dio appare assente.
Ma non è possibile pensare a Dio che schiaccia l'uomo: non sarebbe Dio.
Abbiamo tanto bisogno di Dio e Dio rimane con noi, avvolgendoci con il Suo amore,
che scaturisce da un cuore di padre, ma anche di mamma.
Don Gian Mario ci ha, poi, presentato il Regno dei Cieli come simile ad una
perla preziosa, ci ha guidati, attraverso alcuni spunti di riflessione, per
condurci alla conclusione che amare gli uomini e amare Dio è un tutt'uno.
L'uomo è consapevole che il suo cuore è sempre assetato di amore,
verità, giustizia, ma anche di potere e successo. Così intrappolandolo
nei propri schemi mentali, finisce per convincersi che Dio si realizza nella
contrapposizione all'uomo, ovvero che tanto più l'uomo è sofferente,
tanto più Dio è potente.
Quest'immagine di Dio conduce, però, ad allontanarsi da Lui, preferendo
riporre le proprie speranze e il proprio credo esclusivamente sull'uomo.
Ma se è sicuramente attuabile credere nell'uomo senza credere in Dio,
non è assolutamente possibile credere in Dio senza credere nell'uomo.
Perché Dio stesso ha bisogno degli uomini: agisce attraverso di essi,
ripone in loro una fiducia incondizionata e soprattutto non smette mai di amarli
gratuitamente.
Proprio per questo Dio non smetterà mai di cercare ciascuno di noi, come
il mercante che va in cerca di perle preziose. Dio è in viaggio perché
desidera trovarci e per noi è disposto a vendere tutto, a spogliarsi
della sua divinità e a venire ad abitare in mezzo a noi.
In questi giorni di grazia, allora, che ci conducono a contemplare il mistero
di Dio fatto uomo, non possiamo negarci a Lui: ecco le nostre mani, Signore,
usale; ecco il nostro cuore, fanne sorgente del Tuo amore per chi ci accosta,
affinché senta attraverso di noi che Tu vivi.
Katia
La tradizione cristiana, fin dal 1223 a Greccio per opera di
S. Francesco dAssisi, propone il segno del Natale: il presepio.
Il presepio costruito in casa dai membri di una famiglia credente è invece
un segno di fede: non unopera artistica, né uno spettacolo che
richiama i visitatori
anche se in molti posti si fa il concorso
presepi per premiare il più bello.
Già costruendolo, tutta la famiglia rilegge lavvenimento che celebra.
Inoltre, alla sera o durante il giorno, tutta la famiglia, ponendo davanti ala
presepio un lumino acceso, può riunirsi per un momento di preghiera comune:
alcune righe dei vangeli di Matteo e di Luca, una preghiera spontanea di ciascun
membro della famiglia, un Padre Nostro, la benedizione del papà
e della mamma ai figli.
Il presepio diventerà così un continuo richiamo alla realtà
del Natale cristiano, celebrato in famiglia e vissuto con la comunità
intera.
Don GianMario
Da
qualche mese collabora nella nostra Parrocchia un simpatico trentaduenne messicano,
studente in teologia a Roma, ospite della Comunità dei Padri Scalabriniani
della Stocchetta. Il suo nome è Victor Cordova Gonzales, per tutti: Victor.
Per noi chierichetti è diventato un punto di riferimento, un coordinatore
del nostro gruppo che è composto da tanti bambini e che ha bisogno di
qualcuno che dia le giuste indicazioni.
A lui ho rivolto alcune domande per conoscerlo meglio e in questa Bussola riferisco
alcune informazioni che riguardano il suo Paese d'origine.
- In quale città sei nato? A che età hai lasciato
il tuo Paese?
Sono nato in Messico nella città di Juárez Chiapas, che si trova
nel sud del Messico.
Lì ho fatto tutti gli studi fino all'università, quando ho fatto
la scelta di entrare in seminario, dopo ho studiato filosofia, ho fatto il noviziato
e nel 2008 ho lasciato il Messico per iniziare a Roma lo studio teologico e
sono contento di essere qua a Roma.
- Qual è una tipica tradizione natalizia della tua città?
Una tradizione tipica del Messico di Natale è "las posadas",
che con una traduzione simultanea potremmo tradurre con il termine "ospitalità".
Consiste nell'accompagnare Giuseppe e Maria durante nove giorni prima della
Notte di Natale e in questo periodo Giuseppe e Maria vanno in giro per le casa
e chiedono alloggio. E' una simpatica e popolare tradizione (risalente probabilmente
alla metà dei XVI secolo), che ripropone l'episodio dell'arrivo a Betlemme
di Giuseppe e Maria e della loro ricerca di un luogo dove alloggiare.
«Dar posada» vuol dire ospitare un viandante e, nella tradizione
natalizia, la posada è l'abitazione stessa che accoglie i protagonisti
della natività. In quest'occasione un corteo segue Giuseppe e Maria (rappresentati
da due bambini vestiti appropriatamente oppure delle statue portate dai bambini)
che vanno a chiedere «posada», cioè ospitalità, in
una casa. Prima di arrivare alla casa dove verranno accolti, si fermano a chiedere
il permesso per alloggiare presso altre abitazioni con esito, però, negativo.
Poi la processione riprende al suono degli strumenti musicali, intervallato
da preghiere e canti di litanie.
Finché, dinanzi alla porta della casa prescelta, al gruppo nella strada
che domanda «posada» con un canto, risponde dall'interno dell'abitazione
un secondo coro. Quindi viene aperta la porta per accogliere gli ospiti con
Giuseppe e Maria.
Dopo aver pregato tutti insieme, la famiglia ospitante offre dolci e bevande.
Giulio
Mi
accorgo solo oggi, mio Signore,
e con disagio,
che ho quasi sempre sbagliato lattesa.
Sì, il cuore era trepidante al solo sentire la parola Avvento,
ma per che cosa trepidava?
In fondo che cosa ho atteso,
che cosa attendo?
Forse nulla o forse solo cose.
Ma non erano e non sono queste
che dovevo attendere.
Non le luci sfavillanti della città,
il clima festoso che mi avvolge,
volti sorridenti che mi passano accanto,
vetrine addobbate a festa,
i babbo natale che ti offrono caramelle,
i doni
, cose, cose , cose!
Ecco perché il mio cuore alla fine
è quasi sempre vuoto,
perché le cose non riempiono
se non spazi già stracolmi di queste cose.
Ed io incolpavo tutti
e mi dicevo che erano altri
i dissacratori di questa attesa e di questa venuta,
perché altri avevano occupato
tutto lo spazio vuoto che cera in me.
Ma se questo è avvenuto
è solo perché io ho lasciato
tanto spazio vuoto in me, nel mio cuore.
E mi sembrava di essere felice
di gustare questa attesa,
ma tutte le sere Tu
hai bussato al mio cuore e mi dicevi:
Chi hai atteso, oggi?.
E mi sono ritrovato con il cuore vuoto, freddo,
nonostante il calore della casa,
il calore delle luci variopinte.
Solo ora ti chiedo di risvegliare in me
il desiderio di attendere le persone,
di attendere Te, in modo nuovo.
Ecco perché sono quasi sempre inquieto
(S. Agostino diceva: inquietum cor meum
donec requiescat in Te!),
perché non ho sostituito le cose con Te,
che sempre bussi alla mia porta.
Allora chi mi rende inquieto sei Tu
che vuoi che io desideri il nuovo,
vuoi che senta nellaria
il profumo della Tua dolce presenza,
Tu lamico vero che non mi abbandona mai.
Maranatha:
Vieni Signore Gesù,
vieni nel mio quotidiano.
A tutti,
ma soprattutto a coloro
che Ti hanno atteso in modo giusto
rendi Tu Buono questo Natale!
Cesare
(Avvento 2011)
Secondo
la tradizione, la prima rappresentazione della nascita del Salvatore fu un affresco,
commissionato dall'imperatore Costantino per la basilica della Natività
a Betlemme. Questa prima immagine sarebbe servita da modello agli altri pittori.
L'icona che troviamo sulla parete ovest della nostra chiesa parrocchiale presenta
il mistero della Natività del Signore secondo la raffigurazione propria
delle Chiese dell'Oriente cristiano. Licona non si limita a rappresentare
il fatto, ma ne esprime il significato teologico e, seguendo la tradizione orientale,
non conosce latmosfera di familiare intimità che caratterizza le
composizioni occidentali.
Le diverse scene che si riferiscono alla Natività sono distribuite su
tre fasce orizzontali che si ordinano intorno al centro dell'immagine, costituito
dalla figura della Vergine Madre e dal Bambino: la parte alta, relativa alla
sfera celeste; la mediana, riguardante il piano di salvezza di Dio; quella bassa,
raffigurante la natura terrena ed umana. Sullo sfondo la montagna messianica
a due colori indicante la duplice natura di Gesù. Questo monte è
il Cristo stesso.
Il movimento discendente
La parte superiore dell'icona:
la sfera Celeste.
Iniziamo la lettura dalla raffigurazione partendo dal movimento d'amore di Dio
verso la creazione. Esso è espresso dal raggio di luce che traccia l'asse
verticale di tutta la composizione e proviene da una semisfera posta nella parte
superiore dell'icona. Questa semisfera è dipinta con diverse sfumature
di blu, il colore della trascendenza: evoca la presenza di Dio, che pose nelle
tenebre il suo nascondiglio.
Il Dio trinitario esaudisce la preghiera di Isaia: Se tu squarciassi i
cieli e scendessi! (Is 63, 19).
Sopra la grotta vediamo due angeli. Anche se le loro bocche sono chiuse (come
su tutte le icone), la loro bellezza e la loro dignità costituiscono
già di per se stesse il rendimento di lode a Dio. «Gloria a Dio
nel più alto dei cieli...».
La parte centrale: il piano della Salvezza
Nella fascia mediana è illustrato il mistero dell'Incarnazione, il mistero
stesso della Natività.
A destra, il pastore, che rappresenta il popolo d'Israele, riceve l'annuncio
dall'alto. L'angelo gli annuncia la venuta del Salvatore, lo saluta alla maniera
greca ed è rivolto in basso per dire che ormai è inutile sforzarsi
di salire: è il tempo in cui Dio stesso scende e si rende visibile a
chi lo cerca con cuore sincero.
L'alberello rievoca la profezia di Isaia, Un germoglio spunterà
dal tronco di Iesse (Is 11,1), rappresenta ladempimento delle promesse
fatte ad Abramo e alla sua discendenza
Maria appare come la Santissima Sovrana. La Madre di Dio, seduta su di un manto
bianco che la contorna e quasi la isola in una mandorla di gloria, è
accanto al bimbo, lo indica con la mano destra (come nelle icone Odigitria)
e sembra volgersi verso lo spettatore, ha lo sguardo rivolto verso di noi: ci
accoglie tutti e riconosce in noi la nascita del suo Figlio. Le tre stelle che
si scorgono sul manto regale, sono i simboli tradizionali della sua verginità
prima, durante e dopo il parto.
Il Bambino Gesù cuore dellicona.
Cristo è il centro dellicona. La figura del Bambino è tutta
in riferimento al mistero pasquale: il suo corpo è già stretto
nelle bende della morte Quelle stesse fasce che ora sono indicate dagli angeli
ai pastori come un segno di riconoscimento del bambino divino, saranno lunico
segno del risorto per le donne, per Pietro e per Giovanni, davanti al sepolcro
vuoto. Tutto richiama ed indica la vittoria sulla morte e sugli inferi resa
possibile dall'Incarnazione.
Giace in una mangiatoia più simile ad un altare-sarcofago, un sepolcro
dalla forma tradizionalmente squadrata e le pareti murarie che di fatto è
una tomba. Il neonato è adagiato lì, in quanto è nato affinché
con la sua morte fossero vinti la morte e il peccato: è così chiaramente
indicato il nesso tra l'Incarnazione e la Croce.
La mangiatoia nella stalla inoltre richiama unimmagine diffusa anticamente:
luomo si nutre di peccati perché ha paura di morire, cerca la salvezza
allo stesso modo in cui lanimale prende il cibo dalla mangiatoia. Ora,
Dio lo va ad incontrare proprio in quel luogo e si fa cibo per lui.
E' chiaro il richiamo allEucarestia: il bambino, posto nella mangiatoia
per l'asino ed il bue, raffigura lAgnello Eucaristico, come cibo per i
nuovi uomini (i gentili ed i greci simboleggiati dai due animali), anchegli
fattosi alimento per la salvezza degli uomini.
Alle sue spalle si spalanca il buio della grotta, macchia nera, simbolo delle
tenebre del mondo, della notte, del caos, confusione e non senso, nel quale
Gesù, Luce del mondo, entra, vince la notte, illumina tutte le nostre
notti.
Le figure tradizionali del bue e dell'asino (in realtà un cavallo, perché
l'asino era sconosciuto agli iconografi russi) che non sono citati nei Vangeli,
devono la loro presenza ai vangeli apocrifi. Secondo gli autori cristiani raffigurano
la parola del profeta Isaia: Il bue conosce il suo proprietario e lasino
la greppia del suo padrone; Israele invece, non comprende, il mio popolo non
ha senno (Is 1,5) e simboleggiano quindi le Genti diverse dal popolo ebraico.
Parte bassa: la natura terrena ed umana
La sfera inferiore illustra il livello dell'umanità: il colore verde
simboleggia l'Umanità che si sta rinverdendo, arbusti che nascono dalla
roccia: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).
A sinistra S. Giuseppe, seduto, medita sul mistero di questa nascita, viene
ritratto nel momento più difficile della sua vicenda personale: la sua
posizione è quella del dubbio: Come è possibile che una
Vergine possa concepire un figlio! Come è possibile che la grandezza
di Dio si sia nascosta in questa grotta!. Giuseppe, dunque, è luomo
che si interroga davanti al mistero. I dubbi di Giuseppe, rappresentano le nostre
fatiche, le nostre esitazioni e resistenze. Egli non può capire da solo.
Più a destra, una levatrice lava il bambino appena nato, come si fa con
ogni bambino che viene al mondo. Le pecore e le capre, pascolando sui pendii,
indicano che questa è la montagna, prefigurata da Isaia per la fine dei
tempi, dove regnerà la pace. Nel gesto del bagno viene prefigurato il
Battesimo e sottolineata la perfetta umanità del Cristo. Lavando Gesù
come un qualsiasi altro bambino si testimonia che Egli è vero uomo. L'intenzione
dell'iconografo è quella di voler pienamente rappresentare lumanità
reale e non apparente di Cristo, ricorrendo ad un atto ordinario ed assolutamente
umano. Questa scena esplicita il carattere terreno della nascita del Cristo:
essa mostra che «il Dio che esiste prima dell'inizio dei secoli»
ha pienamente assunto la realtà della natura umana, dato che, come ogni
neonato, ha avuto bisogno dei propri simili, sin nei particolari più
banali.
Così, questo ultimo dettaglio della nascita del Signore, a prima vista
semplicemente poetico e pittoresco, completa la manifestazione del Verbo incarnato
e riporta il nostro sguardo verso il centro: il bambino adagiato nella mangiatoia,
il Dio fatto uomo per amore degli uomini.
un racconto di Bruno Ferrero
Tobia era un bambino di quarta elementare silenzioso
e sereno. Viveva con i genitori e i fratelli in una modesta casetta ai margini
del paese appollaiato su una collina costellata di ulivi a qualche chilometro
dal mare.
Il giorno di chiusura della scuola prima delle vacanze di Natale, tutti i bambini
della quarta elementare fecero a gara per portare un regalo alla maestra, che
si chiamava Marisa ed era gentile e simpatica.
Sulla cattedra si ammucchiavano pacchetti colorati. La maestra ne notò
subito uno piccolo piccolo, con un bigliettino scritto dalla calligrafia chiara
e ordinata di Tobia: Alla mia maestra.
Marisa ringraziò i bambini, uno alla volta.
Quando venne il turno di Tobia, aprì il pacchettino e vide che conteneva
una piccola magnifica conchiglia, la più bella che la maestra avesse
mai visto: era tutta un ricamo pieno di fantasia, foderato di madreperla iridescente.
Dove hai preso questa conchiglia, Tobia? chiese la maestra.
Giù alla Scogliera Grande rispose il bambino.
La Scogliera Grande era molto lontana e si poteva raggiungere solo tramite un
sentierino scosceso. Era un cammino interminabile e tribolato, ma solo là
si potevano trovare delle conchiglie speciali, come quella di Tobia.
Grazie, Tobia. Terrò sempre con me questo bellissimo regalo che
mi ricorderà la tua bontà. Ma dovevi proprio fare quel lungo e
difficile cammino per cercare un regalo per me?.
Tobia sorrise: Il cammino lungo e difficile fa parte del regalo.
Non si regala un oggetto. Si regala un pezzo del proprio amore.
Lunico vero dono è un pezzo di sé.
di don Tonino Bello
Vi
scrivo da Nazareth, anzi dal cuore di Nazareth, vicino a quel cratere misterioso
dove Dio si è fatto uomo e da dove è partito tutto.
Assorto dinanzi alla grotta del sì di Maria, scavo con gli occhi lo spessore
del tempo nella speranza di poggiare lo sguardo su quella patina di roccia dove
Colui che era fin da principio ha appoggiato i piedi.
Ma non riesco a forare le stratificazioni di venti secoli per mettere a nudo
il livello di calpestìo dei suoi passi.
Gli archeologi ci sono riusciti io no.
E unavventura ai limiti dellassurdo che mette in crisi la
mia fede: perchè è difficile immaginare che tra quelle pietraie
abbia collocato la sua dimora Colui che cavalca i cherubini e si libra sulle
ali del vento e fa delle nubi il suo carro e stende il cielo come una tenda
e costruisce sulle acque la sua dimora.
A quale arcano disegno di amore ha inteso obbedire quando, attraversata la compattezza
dei secoli dei secoli Lui, lincreato che i cieli non possono contenere,
è venuto ad arenarsi in questa insenatura calcarea che sta davanti a
me. Ed è mai pensabile che nel disegno universale di salvezza scritto
sui rotoli di Dio fin dalleternità, abbia trovato qui in questi
tuguri di pecorai il bandolo da cui si è dipanato.
Peguy parlava di carnalità della grazia e forse devo adattarmi
a leggere in questa frase lunica risposta capace di placare il tumulto
delle mie forsennate domande. Carnalità della grazia, salvezza
che ci raggiunge solo attraverso interstizi di grembi, sollecitudini trinitarie
che possono farci trasalire unicamente mediante sorrisi umani e inflessioni
di parole e curvature di carezze. Circuiti celesti damore che toccano
i nostri corpi terreni solo per via di lampeggiamenti di occhi, di fragranze
e di sudori, di brividi sulla pelle, di lacrime sul viso.
Sentieri fioriti delleterno, che per incrociare luomo si fanno viottoli
terreni e passano dai nostri pozzi e si sfilacciano nelle nostre valli e si
inerpicano sui nostri colli e sfiorano le nostre case.
Come questa casupola di Maria nella quale il respiro di Dio, prima di farsi
rantolo di morente, si è fatto alito di bambino, profumato di latte materno
e di basilico. Se vuoi essere universale parlami del tuo villaggio:
forse chi ha detto così ha proprio pensato alla Nazareth di Gesù,
questa incredibile concentrazione di povertà, che ha rivestito del suo
dialetto il linguaggio universale di Dio e ha circoscritto nellumiltà
delle sue saggezze paesane la sapienza del Verbo.
Ma se un annuncio di gioia ve lo posso dare anchio come lha dato
Gabriele voglio dirvi così: non temete; se Colui che è da principio
non ha disdegnato questi sassi non disprezzerà neppure i macigni del
vostro povero cuore. Sappiate offrirglieli, perché possa stabilire in
mezzo agli uomini il suo domicilio e continuerà anche per il vostro sì
lavventura della redenzione.
a cura del GSO Casazza
E' arrivata la pausa invernale.
Quest'anno l'ultimo impegno agonistico, per molti atleti ha coinciso con la
serata del Natale dello Sportivo.
Per le nostre squadre di calcio, gli ultimi incontri sono stati caratterizzati
da ottime prestazioni contro squadre molto ben organizzate e sia gli Juniores,
sia gli Under 14 hanno dimostrato di essere gruppi che accettano ogni confronto
con lo spirito giusto.
Gli Under 8 sono uno spettacolo a sé: dovevate vederli quel pomeriggio
di pioggia quando, non potendo fare allenamento sul campo, si sono scatenati
al calcio balilla!
Protagonista assoluto delle sfide sportive di fine anno, per i nostri atleti
più giovani, è stato il tennistavolo.
Le ragazze del minivolley si sono proprio divertite nella loro prima festa polisportiva.
Alcune di loro si sono ritrovate un giovedì nel salone dell'oratorio,
per carpire i segreti dei nostri allenatori storici del ping-pong; poi hanno
disputato accesissimi confronti con tante coetanee e, pur sempre conuna rete
a dividerle dalle avversarie, si sono trovate a proprio agio vincendo molti
set. Da allora proseguono ogni settimana a coltivare questa loro nuova passione
Anche per gli under 10 la festa polisportiva è stata un simpatico modo
di provare qualcosa di diverso dal "solito calcio" e gli allenamenti
di tennistavolo hanno reso i bambini pronti a confrontarsi con pari età
molto ben preparati. Il risultato è stato: un'ottima figura e un gran
divertimento.
Ciliegina sulla torta è stato il torneo Regionale di tennistavolo, svoltosi
in provincia di Cremona, domenica 11 dicembre.
I nostri piccoli atleti della categoria "giovanissimi" si sono aggiudicati
il primo posto (Stefano) ed il terzo posto (Nicolò), coronando così
un pomeriggio sportivo, vissuto anche all'insegna dell'incontro con tanti ragazzi
provenienti da tutta la Lombardia.
Concludiamo rivolgendo un sentito augurio di ogni serenità per il periodo
natalizio a tutte le famiglie dei nostri piccoli/grandi atleti, dando a tutti
appuntamento a gennaio per la ripresa delle attività con tanta voglia
di crescere insieme.
GSO CASAZZA
Nel periodo natalizio è molto frequente che i bambini
siano chiamati ad interpretare presepi viventi più o meno impegnativi,
ma sempre carichi di significato per chi assiste e per chi vi partecipa.
Anche nella nostra Parrocchia spesso è stato seguito il solco di questa
bella tradizione che spesso svolge una catechesi spicciola, ma molto efficace.
Mi sono chiesto quanto di quello che i ragazzini interpretano scava nel loro
cuore e nella loro mente anche alla luce di quella che è stata la mia
esperienza.
Ogni anno nella mia parrocchia di origine, in chiesa, una sacra rappresentazione
precedeva la Messa della Notte di Natale.
Avevo quattordici anni quando mi fu affidato il ruolo più prestigioso:
ero S. Giuseppe!
L'anno precedente i ragazzi chiamati a ricoprire il ruolo di Giuseppe e Maria
avevano chiacchierato allegramente durante tutta la "recita", scandalizzando
i parrocchiani presenti: toccava a me ridare dignità ai personaggi. Avevo
la precisa intenzione di eseguire un'interpretazione impeccabile, non avrei
degnato di uno sguardo la Madonna, restando tutto assorto nella contemplazione
del mistero dell'incarnazione, mostrando una assoluta trascendenza: non era
difficile!
La ragazzina scelta per il ruolo di Maria, poi, era etichettata dai miei coetanei
come la più carina del gruppo e molti invidiavano la mia possibilità
di poterle stare accanto per così tanto tempo.
Ma io all'epoca ritenevo che le ragazze fossero solo una inutile perdita di
tempo e poi mi sentivo come investito del compito di dimostrare il mio totale
rispetto del ruolo, tanto da non rivolgere quasi mai la parola alla malcapitata.
La sera della veglia natalizia, le luci, i canti, la recitazione, la disposizione...
tutto di quel "presepe vivente" fu perfetto, non ci furono chiacchiere
in scena, nessun imprevisto: era andato tutto secondo copione.
Pensavo di aver dato un'ottima prova di serietà e compostezza, di meritare
quindi i complimenti dell'Assemblea spettatrice, ma i commenti che sentii non
furono positivi. Uno dei più teneri, in dialetto siciliano, fu: "parìa
ca Giuseppe e Maria ierunu sciarriati!.
Traduzione: sembrava che Giuseppe e Maria avevano litigato!
Ero stato anche fisicamente così lontano dalla "Madonna" che
avevo trasmesso l'idea di un atteggiamento di ostilità!
Ripensando dopo a quell'episodio, ho riflettuto sul fatto che la famiglia che
ha accolto il Signore incarnato non avrebbe potuto essere composta da freddi
personaggi, tutti dediti a preghiere e meditazioni. Piuttosto, mi sono ritrovato
ad immaginarli come due giovani che si amano e che hanno messo il loro amore
al servizio di qualcosa di immensamente più Grande.
Il calore che ha accolto Gesù Bambino doveva essere non solo quello di
un asino e un bue (come narrano i vangeli apocrifi), ma quello di una coppia
che nel reciproco donarsi aveva messo il centro della propria vita e aveva reso
possibile il compimento delle Promesse fidandosi di Dio e affidando alle Sue
mani la capacità di trasfigurare il quotidiano nel divino.
Sono certo che S. Giuseppe ha sorriso nel seguire il mio atteggiamento in quella
notte di Natale, così come sono certo che al suo amore, alla sua fede
e alla sua dedizione devo ispirare il vivere quotidianamente il "suo ruolo"
di papà nella mia famiglia (non è facile).
Carmine